CANNONAU RISERVA ANTONELLA CORDA, LE NOTE INESPLORATE DELLA SARDEGNA

Cannonau di Sardegna Doc Riserva 2019 di Antonella Corda è un vino nato per celebrare il cannonau per cui l’eleganza è un’attitudine e l’equilibrio è un’ispirazione. Viti allevate ad alberello producono le uve per la nuova etichetta della Cantina Antonella Corda di Serdiana (Cagliari) da un terreno particolarmente ciottoloso, in grado di esaltare il microclima della zona caratterizzato dai venti di maestrale e dal sole di Sardegna. Il risultato è un vino rosso rubino con riflessi violacei, dal sorso morbido e avvolgente. Il profumo è ricco e articolato. Mora e marasca, mirto, elicriso e una delicata nota d’incenso si sposano elegantemente.

“Con questo vino – dichiara la produttrice Antonella Corda – ho voluto scoprire note finora inesplorate del nostro cannonau, capaci di sfidare il tempo. Dalle mie uve e grazie a un lungo e delicato affinamento ho cercato di cogliere e di trasmettere tutta l’affascinante complessità del territorio di Serdiana”.

Un vino che al suo debutto ha già raccolto punteggi considerevoli e numerosi riconoscimenti: James Suckling, tra le penne più illustri della critica enoica a livello internazionale, gli ha assegnato 97 punti e lo descrive come caratterizzato da tannini setosi, elegante intensità che rimane persistente al palato e finale fumée. Suckling lo definisce un vino “superbo, da bere dopo il 2024”. Si è inoltre aggiudicato i Tre Bicchieri nella Guida ai Vini d’Italia 2023 del Gambero Rosso ed è candidato ai Platinum Award, massimo riconoscimento della guida The WineHunter Award 2022 di Helmut Köcher, presidente e fondatore del Merano WineFestival.

Il Cannonau di Sardegna Doc Riserva 2019 della Cantina Antonella Corda è in vendita nelle enoteche e nei negozi specializzati al costo di circa 50 euro.

GAS: COLDIRETTI, CON RECORD PREZZI, VIA PANNELLI SU 20 MILA STALLE

Con il nuovo record del prezzo del gas, l’arrivo dei bandi per l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti di circa 20 mila stalle e cascine è importante per contribuire alla sovranità energetica del Paese, con cittadini e imprese in difficoltà per i rincari scatenati dalla guerra in Ucraina. E’ quanto afferma la Coldiretti dopo la pubblicazione dell’avviso con le istruzioni per accedere agli 1,5 miliardi previsti dal decreto sull’agrisolare nell’ambito del Pnrr, che arriva mentre il future sul gas naturale alla borsa di Amsterdam ha ritoccato il suo record raggiungendo in apertura i 302 euro al megawattora.

L’esplosione del costo del gas – sottolinea la Coldiretti – ha un impatto devastante sulle tasche dei cittadini ma anche sulla filiera agroalimentare, dal campo alla tavola, rendendo necessario sviluppare forme alternative di produzione dell’energia. In tale ottica, il bando sull’agrisolare, fortemente sostenuto dalla Coldiretti, consente l’installazione di pannelli fotovoltaici su una superficie complessiva pari a 4,3 milioni di metri quadri per 0,43 GigaWatt sulle coperture degli edifici agricoli e zootecnici ma senza consumare terreno fertile.

Un sostegno per le imprese agricole e zootecniche che possono avvantaggiarsi del contenimento dei costi energetici ma anche – ricorda Coldiretti – per il Paese che può beneficiare di una fonte energetica rinnovabile in una situazione di forti tensioni internazionali che mettono a rischio gli approvvigionamenti, proprio mentre si discute sul tetto al prezzo delle gas proveniente dalla Russia.

Le domande per i contributi destinati alla realizzazione di impianti fotovoltaici potranno essere presentate dal prossimo 27 settembre e fino al 27 ottobre. Una quota di finanziamenti pari a 1.200 milioni di euro è destinata alla realizzazione di interventi nel settore della produzione agricola primaria, 150 milioni sono assegnati a interventi nel settore della trasformazione di prodotti agricoli in agricoli, e altri 150 milioni andranno al settore della trasformazione di prodotti agricoli in non agricoli e alle altre imprese. È prevista poi una riserva del 40 per cento per i progetti che saranno realizzati nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Se tali risorse non saranno spese andranno a coprire le iniziative delle altre regioni.

INDICE BIGOT: A VINITALY PREMIATI I MIGLIORI VIGNETI

È in vigna che nascono i grandi vini: lo afferma con convinzione Giovanni Bigot durante la premiazione dei trentotto vigneti che hanno superato i 90 centesimi secondo l’Indice Bigot. Il metodo di valutazione scientifico del potenziale qualitativo di un vigneto, ideato dall’agronomo friulano supportato dal suo team di Perleuve, lo scorso anno è stato calcolato in totale su 734 vigneti. L’Indice, frutto di vent’anni di ricerca sul campo in Italia e a livello internazionale, si basa su nove parametri di valutazione: produzione, chioma, rapporto tra foglie e produzione, sanità delle uve, tipo di grappolo, stress idrico, vigore, biodiversità e microrganismi, età del vigneto. Ogni parametro considerato va a influire su una precisa caratteristica del vino. La premiazione dei vigneti, che ha riguardato l’annata 2021, si è tenuta domenica 10 aprile durante Vinitaly a Verona, nello spazio della Regione Friuli Venezia Giulia.

«Un risultato finale – commenta Giovanni Bigot – che è l’apice di un importante percorso di crescita e miglioramento in vigneto, lì dove nasce una grande uva per un grande vino. I vigneti premiati hanno la capacità di aumentare il valore di un territorio in termini di qualità e riconoscimento, diventando identificativi di una zona, donando caratteristiche specifiche ai vini che lì nascono. Non solo, i vini da vigneto singolo rappresentano un trend in forte crescita, ecco quindi che la valutazione del vigneto, attraverso parametri specifici, aumenta il valore del prodotto finale ed esalta l’importanza della qualità della materia prima, l’uva». Grazie all’eccellenza in questi campi i trentotto vigneti che nel 2021 hanno superato i 90 centesimi sono stati: in Friuli Venezia Giulia il Friulano Hrib, Friulano Dolinca e Hrib Merlot de La Castellada, il Friulano Case 25 di Livio Felluga, Tocai Friulano Centralina e Cabernet Franc Pietra di Russiz Superiore, Oslavje di Radikon, Sauvignon Lonzano Alto di Sgubin Ferruccio, Sauvignon Zegla di Sturm, Sauvignon Rosazzo e Tocai Friulano Buttrio di Le Vigne di Zamò, Ronco Pitotti Sauvignon di Vignai da Duline, Tocai Friulano Braida di La Sclusa, Moscato Vin dal Paron di Ferlat, Friulano Stesa di Il Carpino e Cabernet Sauvignon Narciso di Ronco delle Betulle; in Veneto il vigneto Sant’Anna di Massimago; in Lombardia Chardonnay Calcababbio e Sauvignon Calcababbio di Monsupello e Pizzarello Pinot Meunier di Castello di Cigognola; in Piemonte Sorì Ginestra di Conterno Fantino e Barolo Sottocastello di Ca’ Viola; in Emilia Romagna Merlot Ronco e Malvasia Morello di La Tosa; in Toscana Poggiata Rinaldi di Tenuta del Cabreo e Anfiteatro alle Rose di Tenuta di Nozzole; in Umbria i vigneti Sagrantino Maria Cantalupo di Di Filippo, Sauvignon Villa Pace di Cantine Blasi, Vigna Chiusaccia e Vigna Renabianca di Terre Margaritelli; in Puglia Lu Piezzu di Masseria Cuturi; in Sardegna Ispane Sud Pusceddu, Ispane Tatti/Onali, Murtatí Crobu, Pardoniga Manca, Burdaga Conciadori dell’azienda Bentu Luna. I vigneti premiati in Slovenia sono stati Chardonnay Jordano e Sauvignon Jordano di Marjan Simcic; mentre premiato in Francia il vigneto Champan di Domaine R&P Bouley.

Il vigneto che ha raggiunto il punteggio massimo di 95 punti su 100 è stato il Friulano Hrib dell’azienda La Castellada in Friuli Venezia Giulia, mentre l’azienda con il maggior numero di vigneti è stata Bentu Luna in Sardegna, con cinque vigneti premiati.

NATALE: COLDIRETTI, TORRONE SU 69 PER CENTO DELLE TAVOLE, ARRIVA QUELLO “DOC”

Il Veneto è l’unica regione d’Italia che tra i torroni può vantare il “mandorlato” di Cologna Veneta. Si chiama cosi e si rifà ad una grande tradizione storica che risale alla Serenissima Repubblica il top dei torroni regionale. Gli ingredienti e il loro dosaggio sono indispensabili per l’ottima riuscita di questo torrone che vengono inseriti nel calderone con un preciso ordine (prima miele poi poco zucchero, albume e infine le squisite mandorle) che vanno cotti ad una temperatura costante per circa otto ore.

Il torrone sarà in tavola in più di tre case italiane su quattro (69 per cento) per il Natale 2021, con gli acquisti del tradizionale dolce delle feste spinti quest’anno dalla nuova tendenza dei cittadini a ricercare quelli che assicurano la provenienza nazionale, dal miele alla frutta secca. E’ quanto emerge da un sondaggio sul sito www.coldiretti.it diffuso in occasione della sfilata dei dolci tradizionali di Natale al mercato di Campagna Amica al Circo Massimo a Roma, dove è stata allestita la prima mostra del torrone tricolore, con le produzioni più originali provenienti dalle regioni italiane. La novità del Natale post Covid è, infatti, l’arrivo del torrone 100 per cento italiano – sottolinea la Coldiretti – per venire incontro alla tendenza dei cittadini a prestare una maggiore attenzione alla sostenibilità dei prodotti e alla tracciabilità degli ingredienti utilizzati, anche per sostenere l’economia del paese e l’occupazione in un momento difficile a causa dell’emergenza sanitaria. Il risultato è una vera e propria caccia ai prodotti che garantiscono la provenienza nazionale, da regalare o da mettere sotto l’albero e offrire agli ospiti.  

Il torrone oggi si divide principalmente in due tipologie – spiega Coldiretti – quelli a pasta morbida e quelli a pasta dura. Il diverso grado di morbidezza della pasta è dato sia dal tempo di cottura (breve per quelli morbidi, prolungato per quelli duri) che dalla materia prima utilizzata   Se nella preparazione si utilizza lo zucchero il torrone risulterà più duro perché lo zucchero viene caramellato e una volta freddo si secca e si indurisce, al contrario, il torrone in cui viene utilizzato come ingrediente principale il miele risulta più morbido perché il miele non indurisce come accade allo zucchero.

Non tutti sanno che – continua Coldiretti – il torrone non è uguale in tutte le regioni perché a seconda del territorio cambia la materia prima che lo compone o la forma che gli viene data per simboleggiare la città di appartenenza. Per esempio in Lombardia il classico torrone di Cremona prende il nome dalla torre campanaria in muratura che domina la piazza del Duomo della città lombarda. La leggenda narra che il nome “torrone” sia nato nel 1441 in occasione del matrimonio tra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, i duchi di Milano. Per i festeggiamenti venne preparato – ricorda Coldiretti – il dolce, modellato proprio secondo la forma del Torrazzo cremonese e da allora divenne uno dei dolci simbolo della città regalato ai politici del tempo come segno di benvenuto e per agevolare i negoziati.

Rimanendo sempre al nord in Liguria troviamo il Turun chiamato anche Cubaita. E’ un antichissimo torrone tipico dell’estremo ponente ligure, soprattutto della provincia di Imperia. Si tratta di un dolce estremamente semplice – rileva Coldiretti – fatto con un impasto di nocciole, mandorle e noci cotte nel miele, racchiuso tra due sottili cialde rotonde di ostia fatte con poca farina, acqua e albume su cui anticamente si imprimevano gli stemmi e le iniziali delle famiglie nobili. Purtroppo, si tratta di un torrone quasi in via di estinzione che però in passato, proprio per i suoi ingredienti poveri non mancava mai sulle tavole natalizie del ponente ligure, anche tra le famiglie meno abbienti. La sua particolarità è l’assenza totale di zucchero, non tanto per scelta ma per necessità in quanto nell’antichità era un ingrediente che non tutti potevano permettersi. Poi abbiamo quello piemontese con le immancabili nocciole tipiche della regione – aggiunge Coldiretti. Nel Friuli Venezia Giulia si produce invece un originalissimo torrone con semi di zucca, morbido dal retrogusto particolare.

Per il centro invece molto tipico è il torrone agricolo dell’Umbria in cui – prosegue Coldiretti – coesistono insieme mandorle, noci, pistacchi, nocciole per un esperienza di gusto indimenticabile. Dalla Toscana invece arrivano sia il torrone che il croccante alle arachidi. L’arachide toscana è più piccola, più scura e un con gusto particolare e tutto da scoprire rispetto alle tipologie estere. Questo torrone è molto importante perché dimostra come la filiera dell’arachide nazionale rappresenta un enorme potenziale di sviluppo anche nell’arte dolciaria. Nelle Marche invece c’è – afferma Coldifretti – il pregiato torrone alla visciola, tipica amarena della regione molto simile per aspetto alla ciliegia con caratteristico sapore dolce, ma con un retrogusto leggermente aspro che rendono questo torrone particolarmente gustoso. In Abruzzo non può mancare sulle tavole delle feste il classico torrone tenero al miele che è una componente fondamentale del torrone morbido molto tipico di questa regione. Nel Lazio invece troviamo il torrone di Alvito, di piccole dimensioni a pasta dura o morbida, ricoperto da un’ostia o da codetta di cioccolato. Gli ingredienti base sono mandorle, nocciole, cioccolato, zucchero caramellato, cioccolato fondente anche all’arancia, miele, cannella, aromi naturali. In Molise troviamo invece un torrone molto particolare ai mirtilli.

Passando al Sud Italia dove regnano meraviglie assolute non si può non cominciare con quello della Calabria che è una vera e propria eccellenza – rileva Coldiretti – perché è di fatto il primo torrone con protezione comunitaria ed è quello di Bagnara Igp che è considerato tra i più buoni di tutto il meridione. I principali ingredienti del torrone sono le mandorle, il miele e albume d’uovo, materie prime che in Calabria sono di prima scelta: il miele di arancio calabrese infatti è particolarmente aromatico e ricco di zuccheri, e la qualità delle mandorle è assicurata dalla vicinanza della Sicilia, isola della famosa mandorla di Avola. In Basilicata ci sono gli squisiti e colorati torroni artigianali al limone e all’arancio. Dalla Campania invece – continua Coldiretti – arrivano i famosi torroncini di San Marco dei Cavoti che è un comune del Beneventano, molto croccante e ricoperto di cioccolato fondente detto, per l’appunto, “croccantino di San Marco dei Cavoti ma  molto curioso e nuovo è il anche torrone all’Aglianico tipico vino campano.

In Basilicata troviamo i meravigliosi torroni artigianali all’Arancio, al limone e al cioccolato che sono delle vere e proprie opere d’arte – spiega Coldiretti – perché sono in blocchi medio grandi particolarmente scenografici da portare sulle tavole delle feste. Per le isole invece in Sardegna troviamo il Torrone d’Ogliastra alle mandorle e mirto sia nella versione morbida che croccante che è nato principalmente per diffondere e dare valore alla tradizione della pasticceria sarda, con un grande riguardo per il celebre torrone dell’Ogliastra, famoso e rinomato per la fragranza e la squisitezza. Questo tipo di torrone viene preparato esclusivamente con miele pregiato e non prevede l’utilizzo di zucchero, glucosio o altre tipologie di dolcificanti. Altro ingrediente fondamentale – conclude Coldiretti – per la confezione dei torroni sono le mandorle: anche in questo caso, si tratta di un prodotto tipico della zona di Triei, dove i mandorli in fiore costituiscono una caratteristica del paesaggio collinare. E infine dalla Splendida Sicilia non possono mancare i torroni ai pistacchi di Bronte ma anche alle mandorle di Avola fortemente legati alla bella isola.

VIGILIA DI NATALE, TORNA IL PESCE SULLE NOSTRE TAVOLE

Torna il pesce alla vigilia nel 71 per cento delle case italiane dove si fanno largo i menu low cost con prodotto 100 per cento italiano, spinti dalla crisi economica legata alla pandemia ma anche dalla voglia di sostenere l’economia nazionale in un momento difficile per il Paese. E’ quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixe’ diffusa in occasione del 24 dicembre, quando sulle tavole si rispetta l’usanza di “mangiare di magro” con pietanze a base di prodotto ittici. Non a caso solo una minoranza del 23 per cento di cittadini preparerà menu di sola carne, mentre un 5 per cento si indirizzerà verso piatti a base di verdure.

Proprio durante le festività di Natale si registrano del resto in Italia le punte massime del consumo di pesce – sottolinea la Coldiretti – che è pari a oltre 28 chilogrammi a testa durante l’anno, superiore alla media europea di 25 chili e a quella mondiale di 20 chili. Una tendenza sostenuta nel 2021 da un incremento del 27 per cento degli acquisti di prodotti ittici freschi, secondo un’analisi Coldiretti su dati Ismea.

I veneti rispetteranno la tradizione con il piatto classico della vigilia di Natale rappresentato dai “bigoi in salsa” uno spaghetto grosso bucato e un sughetto a base di sardine cipolla e formaggio grana. Non sempre però è facile avere la certezza di portare in tavola pesce italiano, in una situazione in cui la grande maggioranza dei pesci in vendita provengono dall’estero. È per questo che Coldiretti Impresapesca ha elaborato un vademecum con consigli per fare le giuste scelte di acquisto e la proposta di due menu low cost e interamente tricolori per quattro persone. Il primo, a base di pesce pescato sulle nostre coste, vede come antipasto alici marinate e lumache di mare (6 euro) e sauté di cozze e vongole (5 euro). Per primo, spaghetti o tagliatelle con polpa di granchio fresco (10 euro), mentre il piatto forte è rappresentato dalla zuppa o brodetto di pesce (9 euro) fatto di triglie, calamari, moli, tracine, seppie, canocchie e gallinelle. Ma è possibile anche portare in tavola un menu italiano al cento per cento scegliendo il pesce proveniente dagli allevamenti di acquacoltura: come antipasto anguilla marinata (7 euro) e carpaccio di trota (3 euro), per primo pennette con sugo di trota salmonata (8 euro) e per secondo orata o spigola al forno con pomodorini e patate (12 euro). Entrambi i menu – sottolinea Coldiretti – prevedono una spesa complessiva di 30 euro.

Andando a fare la spesa occorre però guardare sempre l’etichetta sul bancone dove deve essere specificato il metodo di produzione (“pescato”, “pescato in acque dolci”, “allevato…”), il tipo di attrezzo oggetto della cattura e la zona di cattura o di produzione (Mar Adriatico, Mar Ionio, Sardegna, anche attraverso un disegno o una mappa).

Per garantirsi la qualità il pesce fresco – ricorda la Coldiretti – deve avere inoltre una carne dalla consistenza soda ed elastica, le branchie di colore rosso o rosato e umide e gli occhi non secchi o opachi, mentre l’odore non deve essere forte e sgradevole. Infine, meglio non scegliere i pesci già mutilati della testa e delle pinne mentre – continua la Coldiretti – per molluschi e mitili, è essenziale che il guscio sia chiuso.

Per quanto riguarda il pesce congelato c’è l’obbligo di indicare la data di congelamento e nel caso di prodotti ittici congelati prima della vendita e successivamente venduti decongelati, la denominazione dell’alimento è accompagnata dalla designazione “decongelato”.

“Comprare pesce italiano significa aiutare un settore che offre 28mila posti di lavoro” ha sottolineato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel lanciare un appello a preferire per le feste i prodotti locali.

Il settore della pesca e acquacoltura vede impegnate – conclude Impresapesca Coldiretti – circa 12mila imbarcazioni mentre la top-ten delle produzioni è guidata dalle alici, seguite da vongole, sardine, naselli, gamberi bianchi, seppie, pannocchie, triglie, pesce spada, gallinelle e sugarelli.

BENTU LUNA: VECCHIE VIGNE E CANNONAU IN PUREZZA PER GLI INEDITI BE LUNA E SUSU

Bentu Luna, il progetto enologico di Gabriele Moratti in Sardegna, presenta sul mercato due nuovi vini espressione dell’annata 2019: Be Luna, rosso di Sardegna da varietà autoctone, e Susu da uve Cannonau. Le neonate etichette affiancano Mari e il Tre Bicchieri del Gambero Rosso Sobi – Mandrolisai Doc e rosso di Sardegna lanciati lo scorso marzo – nell’interpretazione che l’azienda fa del territorio e dell’antica cultura contadina di cui è custode.

Le uve da cui ha origine Be Luna sono raccolte in una vigna piantata nel 1905 nel comune di Atzara (Nuoro). In essa coesistono diverse varietà di Muristellu (Bovale sardo), Monica e Cannonau in percentuale variabile, dando vita al vino di Bentu Luna che più di tutti testimonia un concetto archetipico di biodiversità, ereditato da una cultura viticola millenaria rimasta pressoché invariata.

I grappoli di Cannonau con cui è prodotto Susu, invece, maturano in un vigneto monocultivar di Neoneli (Oristano), comune in cui ha sede la cantina. Il Cannonau rivela uno spettro olfattivo speziato, vivacizzato da una nota di pepe che dialoga con frutti scuri maturi.

«Il risultato è al di fuori degli schemi conosciuti per la Sardegna – spiega Gian Matteo Baldi, amministratore delegato di Bentu Luna – Siamo di fronte a vini molto eleganti, con grande piacevolezza di beva, poca rilevanza dell’alcool al gusto, agili ma con una grandissima profondità e persistenza».

Nasce un racconto audace e sincero, che ripropone in chiave contemporanea vini dalla storia secolare, con profili organolettici in grado di restituire i gusti e gli aromi del Mediterraneo. «La valorizzazione delle uve ottenute da queste vecchie vigne passa attraverso l’infusione goccia a goccia del loro succo – continua Baldi – Il vino che otteniamo non viene poi ‘accomodato’ con prodotti enologici, filtrato o modificato, e le materie scelte per accoglierlo sono calde: cemento, terracotta, legno. Il ruolo di quest’ultimo, in particolare, è funzionale alla crescita naturale dei vini, non dev’essere invasivo o prevaricante. Ciascuna scelta è studiata per ritrovare nel calice l’originale e autentica espressione delle uve».

Tutti i vini prevedono una vinificazione di chicchi o grappoli interi e una fermentazione spontanea, con pied de cuve altamente selezionato, in vasche di cemento da 20 hl. Il processo dura circa tre settimane, con leggere follature manuali al termine della seconda. Be Luna e Susu affinano quindi in barriques di rovere di secondo passaggio per otto mesi, periodo durante il quale si attiva la fermentazione malolattica e vengono effettuati leggeri bâtonnage.

Be Luna e Susu sono stati imbottigliati a settembre 2020, con una produzione rispettivamente di 1300 e 1500 bottiglie, in vendita esclusivamente nel canale di hotel, ristoranti e bar.

CALDO: COLDIRETTI, PIÙ 20 PER CENTO FRUTTA IN TAVOLA CON AGOSTO BOLLENTE

È record di frutta e verdura nell’agosto bollente che ha cambiato i consumi degli italiani, secondo Coldiretti  negli ultimi quindici giorni il consumo è aumentato del 20 per cento rispetto al periodo precedente. La stima è di Coldiretti in riferimento all’impatto sugli acquisti dell’ondata di grande caldo che ha investito la Penisola sulla base delle indicazioni dei mercati degli agricoltori di Campagna Amica. L’andamento positivo dei consumi oltre che dai cambiamenti climatici è spinto anche – sostiene la Coldiretti – dalla svolta green nell’alimentazione impressa dall’emergenza Covid con una crescente attenzione al benessere a tavola con la preferenza accordata a cibi freschi, genuini e dietetici.

Ciliegie, albicocche, pesche e nettarine ma anche meloni e angurie e pere e mele – sottolinea la Coldiretti – aiutano a combattere l’afa, a idratarsi e a fare il pieno naturale di vitamine. Frutta e verdura – spiega la Coldiretti – sono alimenti che soddisfano molteplici esigenze del corpo: nutrono, dissetano, reintegrano i sali minerali persi con il sudore, riforniscono di vitamine, mantengono in efficienza l’apparato intestinale con il loro apporto di fibre e si oppongono all’azione dei radicali liberi prodotti nell’organismo dall’esposizione al sole, nel modo più naturale e appetitoso possibile. Con gli stili di vita più salutistici – continua la Coldiretti – si affermano anche nuove modalità di consumo favorite anche dalla disponibilità di tecnologie casalinghe low cost, dalle centrifughe agli essiccatori che aiutano a far apprezzare cibi salutari anche ai più piccoli, a casa, o in spiaggia.

Un’opportunità resa possibile dal fatto che l’Italia primeggia a livello internazionale nella produzione di frutta e verdura anche se quest’anno i raccolti sono stati duramente colpiti dall’andamento climatico che ha praticamente dimezzato i raccolti nazionali con cali che vanno dal 30 per cento per le ciliegie al 40 per cento per le pesche e nettarine fino metà per le albicocche, rispetto a un’annata normale e con ulteriori segnalazioni di danni provocati dalla cimice asiatica. Il risultato è che in Italia la produzione nazionale complessiva di ciliegie è scesa attorno agli 80 milioni di chili ma la Coldiretti stima anche un raccolto di pesche e nettarine di circa 722 milioni di chili mentre per le albicocche la produzione è crollata a 154 milioni di chili. L’andamento climatico Il caldo e la siccità hanno tagliato di oltre il 20 per cento il raccolto nazionale di cocomeri con i frutti bruciati soprattutto al Sud, mentre al Nord si sono fatti sentire gli effetti della grandine ed in Sardegna sono state le cornacchie a provocare enormi buchi nel raccolto rendendolo invendibile. È peraltro appena iniziata la raccolta delle mele in Italia con un calo del 4 per cento rispetto allo scorso anno a causa di maltempo e gelate primaverili che hanno fatto scendere la produzione a poco più di 2 miliardi di chili nel 2021 per quello che è il frutto più consumato a livello nazionale, secondo l’analisi di Coldiretti su dati Prognosfruit.

Per garantirsi prodotti freschi e di qualità ma anche per sostenere il sistema produttivo nazionale duramente colpito dal caldo e dalla siccità per ottimizzare la spesa e non cadere negli inganni il consiglio della Coldiretti è quello di verificare la provenienza italiana, acquistare prodotti locali che non devono subire grandi spostamenti, comprare direttamente dagli agricoltori o nei mercati di Campagna Amica e non cercare per forza il frutto perfetto perché piccoli problemi estetici non alterano le qualità organolettiche e nutrizionali.

XVI EDIZIONE DI RADICI DEL SUD: IL 15 GIUGNO L’APPUNTAMENTO È A SANNICANDRO DI BARI

Tornano gli eventi in presenza con il Salone dei vini e degli oli del Sud Italia che si svolgerà martedì 15 giugno 2021 dalle 15 alle 21 al Castello Normanno Svevo di Sannicandro di Bari. L’evento sarà il momento conclusivo della XVI edizione della manifestazione Radici del Sud (10-15 giugno), l’unico aperto al pubblico, dove oltre 100 aziende presenteranno la loro gamma di prodotti. Per la prima volta saranno presenti anche produttori provenienti da Sardegna, Abruzzo e Molise, assieme a quelli di Puglia, Basilicata, Calabria, Campania e Sicilia già presenti nelle scorse edizioni.

Per le aziende che volessero partecipare è ancora possibile iscriversi entro il 25 maggio (tutte le info sul sito di Radici del Sud). Circa 140 invece le aziende che hanno finora aderito al Concorso e agli incontri B2B in programma il 13 e 14 giugno sempre nell’ambito della manifestazione. “Siamo immensamente felici di ripartire – commenta Nicola Campanile, organizzatore dell’evento – e di poter finalmente confermare questa edizione di Radici del Sud. Il Castello Normanno Svevo di Sannicandro di Bari è stato oggetto di un accurato restauro in questi mesi e oggi è la location perfetta per svolgere eventi in sicurezza mantenendo le distanze sociali anti Covid, grazie agli ampi spazi di cui è dotato. Qui i produttori delle cantine e dei frantoi racconteranno in prima persona il loro lavoro e il territorio. Mi auguro che possa essere un’occasione per molte persone di scoprire qualcosa in più su queste meravigliose regioni e sulle loro tradizioni”.

I due giorni di Concorso, nel quale verranno testati oltre 350 vini di tutto il Sud Italia, saranno riservati a giornalisti, influencer ed esperti di vino, suddivisi in due giurie, una nazionale e una internazionale, guidate da 4 presidenti italiani: Andrea Terraneo (presidente Vinarius), Francesco Muci (Slow Wine), Luciano Pignataro (Lucianopignatarowineblog) e Maurizio Valeriani (Vinodabere) che metteranno in evidenza le caratteristiche più identitarie dei vitigni autoctoni. Negli stessi giorni si terranno nella sala Scuderie, completamente ristrutturata, gli incontri tra produttori di vino e importatori provenienti dall’Europa e, soprattutto, dagli Stati Uniti, che possono giungere in Italia senza effettuare la quarantena.

La conferenza di proclamazione dei vincitori del concorso sarà martedì 15 giugno alle 11 nella corte del Castello, alla presenza dei presidenti di giuria e di tutti gli ospiti nazionali e internazionali. Per partecipare all’evento sarà necessario registrarsi sul sito della manifestazione, oppure si potrà seguire la diretta sui canali YouTube e Facebook di Radici del Sud. La rassegna, patrocinata dal consiglio regionale, dal Dipartimento Agricoltura della Regione Puglia e dal Comune di Sannicandro di Bari, si terrà nel pieno rispetto delle misure anti Covid in vigore. Gli ingressi saranno a numero limitato e contingentati in tre fasce orarie: dalle 15 alle 17, dalle 17 alle 19 e dalle 19 alle 21. Per accedere o accreditarsi è necessario effettuare la registrazione sul sito della manifestazione http://www.radicidelsud.it o contattare la segreteria al 338.5938322 o radicidelsud@gmail.com

BENTU LUNA E L’INESTIMABILE TESORO DELLE VECCHIE VIGNE NEL CUORE DELLA SARDEGNA

Bentu Luna è il nuovo progetto enologico di Gabriele Moratti guidato dall’amministratore delegato Gian Matteo Baldi al centro della regione Sardegna, l’unico in Italia a basarsi totalmente su vecchie vigne, che vanno da un minimo di 35 fino ai 115 anni di età. La cantina ha sede a Neoneli, in provincia di Oristano, mentre l’attività si sviluppa tra il Barigadu e il paesaggio policolturale del Mandrolisai, uno dei quattordici in Italia iscritti al Registro nazionale dei Paesaggi rurali d’interesse storico e l’unico della regione.

Lo stile Bentu Luna pone al centro l’essere umano e la sua capacità di interpretare la natura secondo creatività e scienza. Il valore intrinseco di quest’area è il terroir, inteso come intersezione tra microclima, qualità del suolo e lavoro dell’uomo. «I vigneti – spiega Gian Matteo Baldi – sono il frutto di una cultura millenaria rimasta pressoché invariata, fondata sul concetto di non proprietà e di naturale ereditarietà familiare che rischiava di essere abbandonata poiché non creava più reddito. Insieme ai contadini e agli abitanti di Neoneli abbiamo concordato per la gestione condivisa dei vigneti, così da integrare la manodopera e il sapere locale con le nostre competenze tecniche e tecnologiche».

La struttura organizzativa dell’azienda, come per la tenuta Castello di Cigognola in Oltrepò Pavese, si presenta snella e intergenerazionale, con giovani professionisti coadiuvati da consulenti esterni di caratura internazionale. L’enologa sul posto è Emanuela Flore, affiancata dall’agronomo Giovanni Bigot e da altri professionisti tra cui l’enologo Beppe Caviola come responsabile dei blend.

L’approccio umanistico non può prescindere da un profondo rispetto per l’ambiente: dalla gestione dei vigneti all’architettura della cantina, fino ai materiali utilizzati per il confezionamento dei vini, tutto è pensato in ottica di sostenibilità e risparmio energetico.

Al fine di tutelare l’integrità di suolo, piante e grappoli, all’interno della vigna non sono ammessi macchinari ma solo uomini e animali. La raccolta è manuale così come la pressatura. Ciascuna particella è vinificata separatamente all’interno di vasche in cemento crudo di piccole dimensioni per rispettare le specificità di ogni microzona. Tutti i vini sono a fermentazione spontanea, con pied de cuve altamente selezionato e curato al fine di evitare derive. L’alta precisione e il minimo intervento umano, possibile grazie a un grande lavoro preparatorio in vigna, portano alla nascita di vini puliti che compiono subito la fermentazione malolattica.

Le prime etichette a esordire sul mercato sono Mari e Sobi. Mari è un Mandrolisai Doc, da vigneti tra i 35 e i 70 anni allevati ad alberello. Le uve sono 35% Bovale sardo, 35% Cannonau, 30% Monica raccolte nella prima decade di ottobre. Dopo una lenta e accurata diraspatura del grappolo, prende avvio la fermentazione con piede spontaneo in vasche di cemento. L’affinamento è di otto mesi in barrique di rovere di secondo passaggio, durante il quale si effettuano leggeri bâtonnage e si attiva la malolattica. Ne nasce un vino di grande equilibrio: al naso emergono note speziate, in bocca è morbido e colpisce per gli avvolgenti sentori di frutta scura e la deliziosa nota salata; il finale è caldo. Lo stesso processo di vinificazione è adottato per Sobi, rosso di Sardegna da vigneti tra i 35 e i 70 anni allevati ad alberello, per un naso delicato e una grande struttura. Le varietà che lo compongono provengono da diverse zone di Neoneli. I vitigni sono per il 25% Bovale sardo, 35% Cannonau, 5% Monica e 35% tra Pascale, Cagnulari, Carignano e Barbera.

TASCARO VINCE LA TAPPA DI “ALESSANDRO BORGHESE 4 RISTORANTI” DI MILANO

È il Tàscaro di Milano a vincere l’ultima puntata di questo ciclo di episodi di “Alessandro Borghese 4 Ristoranti”, il format prodotto da Banijay Italia condotto da Alessandro Borghese e andato in onda ieri sera su Sky Uno e Now Tv e sempre disponibile on demand. In un episodio tutto dedicato alla cucina regionale a Milano, è l’autenticità della cucina veneta di Sandra Tasca a convincere il palato e il gusto del celebre chef televisivo, aggiudicandosi la vittoria e i 5mila euro da dedicare alla ristrutturazione. Un premio che non lascia nulla al caso, perché da Marzo 2021 Tàscaro riaprirà le porte ai suoi affezionati clienti in una sede tutta nuova, con un cambio di quartiere e arredamento in favore della più tipica atmosfera dei localini veneziani.

Veneto contro Sardegna, Campania, Alto Adige: vince la ricetta veneziana delle polpette

Cucina sarda, campana e alto tesina: ecco contro chi si è scontrata Sandra Tasca nel corso della puntata di “Alessandro Borghese 4 Ristoranti” che l’ha vista vincitrice. Determinante la categoria “special” dedicata a uno degli street food per eccellenza: la polpetta, che Borghese ha apprezzato nella sua ricetta veneta più classica con carne e verdure. Tra le portate scelte dai 4 commensali, la Trippa in umido, il Baccalà mantecato, il Fegato alla veneziana e le tipiche Sarde in saor. Piatti semplici e tradizionali, resi ancor più speciali dal segretissimo ricettario della famiglia Tasca: ingredienti, procedimenti ed istruzioni con i quali Sandra custodisce la vera tradizione, con autenticità e fedeltà – una caratteristica tanto apprezzata da Alessandro Borghese da portarla alla vittoria.

«Sono felice – dice Sandra Tasca che il lavoro di questi anni sia stato premiato da Alessandro, uno chef molto preparato e sincero, che ha colto l’autenticità del locale e il suo legame con la vera tradizione Veneta. Tàscaro abbraccia le mie radici e in particolare la cucina veneziana della mia nonna Edera. Il locale, nato da un’idea portata avanti con e per mio padre è casa, passione, amore e ricordi e oggi più che mai sono fiera dei risultati e dei traguardi raggiunti».